Archivi categoria: Senza categoria

Tomba degli Altavilla

Nella navata destra si trova La Tomba degli Altavilla, luogo funerario di Roberto il Guiscardo, Guglielmo “Braccio di Ferro”, Umfredo, Drogone e Guglielmo d’Altavilla, esponenti illustri della famiglia omonima che provenienti dalla Normandia come guerrieri mercenari agli inizi dell’anno mille, diedero l’avvio al primo regno unitario nell’Italia meridionale. I corpi un tempo riposavano in sarcofagi singoli, e le loro ossa vennero riunite nell’arca alla metà del Quattrocento. Della tomba del Guiscardo, attraverso i documenti, ci è noto l’epitaffio in cui egli era soprannominato Terror Mundi.

Tomba_degli_Altavilla

Ricerca generale sul complesso della S.S. Trinità di Venosa

Il COMPLESSO DELLA S.S TRINITA’

Dell’Italia meridionale è tra i più interessanti e complessi monumenti, la chiesa vecchia, sorta in età paleocristiana su un tempio pagano dedicato a Imene protettrice delle nozze e ampliata a partire dall’ultimo quarto dell’XI secolo con la chiesa nuova, restata poi incompiuta. Un ingresso porticato, affiancato da due leoni, si apre in facciata, la quarta in ordine di tempo. Sulla destra del prospetto sporge il corpo di fabbrica parallelepipedo del monastero, collegato con l’atrio della chiesa; al piano terra, nella foresteria, sotto le volte e gli arconi sostenuti da pilastri cruciformi di epoca longobarda sono stati collocati due pannelli affrescati (S. Vito e S. Antonio) del XV secolo. L’abbazia contiene la stratificazione di tracce ereditate principalmente da Romani, Longobardi e Normanni. La struttura si compone della chiesa antica (o chiesa vecchia), a cui dà accesso l’entrata principale, e della chiesa Incompiuta (o chiesa Nuova), la cui costruzione non fu mai portata a termine. È riconosciuto monumento nazionale con regio decreto dal 20 novembre 1897.

alto

L’INCOMPIUTA

La chiesa incompiuta si innesta sulla c.d. chiesa vecchia, in continuità con i muri perimetrali, mantenendone il medesimo asse e le stesse dimensioni trasversali. È costituita da un corpo longitudinale, previsto a tre navate, con un ampio transetto sporgente ed absidato ed un coro molto profondo, circondato da un deambulatorio con cappelle radiali. In corrispondenza dell’attacco del transetto con il deambulatorio sono inserite due torrette scalari. Il corpo longitudinale presenta cinque colonne con grandi capitelli corinzi ed un pilastro polistilo all’incrocio con il transetto solo sul lato destro, mentre sul sinistro non furono realizzate neppure le fondazioni del colonnato settentrionale. Non fu mai realizzata la copertura. Cresciuta alle spalle della chiesa vecchia, [‘Incompiuta resta l’unico caso visibile di un fenomeno che normalmente si doveva verificare quando si costruiva una chiesa nuova sul luogo di una più antica: generalmente si lasciava in piedi la prima, fino al momento in cui la nuova non era in grado di funzionare pienamente. Molto discussa la datazione del monumento, eseguito comunque in un arco di tempo piuttosto ampio, che va dall’età di Roberto il Guiscardo con l’arrivo di un gruppo di monaci direttamente dalla Francia (XI secolo), a quella di Ruggero II o di Guglielmo d’Altavilla, con influenza francese per il tramite della seconda ondata normanna di Sicilia (XII secolo). In realtà questo sistema planimetrico è una soluzione tipica dell’area francese, in cui le soluzioni particolari sono numerose, mentre in Italia si riscontra in pochi altri monumenti di età normanna, quali le cattedrali di Aversa e della vicina Acerenza, nei quali si intuisce però un impianto comune, attuato con modalità del tutto diverse. È lecito perciò pensare ad un architetto o protomagister importato dalla Francia nell’ultimo quarto dell’XI secolo, che si avvalse di maestranze e materiali profondamente radicati nella cultura locale. In questo edificio, per esempio, l’ anfi-teatro e tutti i monumenti della zona hanno fornito, come una cava, materiale già pronto per l’uso, al quale viene adeguata tutta la progettazione di dettaglio fatta sul posto. Anche la planimetria importata sembra trovare terreno fertile in schemi già sperimentati nella stessa area, come quelli del triconco e del deambulatorio.

incompiuta

L’ORIGINE

Vi è controversia sulla data di fondazione, ma gli studi più recenti riprendono le teorie di Daniel Bertaux: l’Abbazia (che inizialmente comprendeva solo la Chiesa Antica) venne innalzata dai Benedettini prima della venuta dei Normanni. Il nucleo originario è costituito da una Basilica Paleocristiana sorta tra il V ed il VI secolo, ove in precedenza vi era un tempio pagano dedicato a Imene. Nel 1059, venne consacrata da papa Niccolò II. Nello stesso anno Roberto il Guiscardo volle rendere la Chiesa il sacrario degli Altavilla e fece portare, all’interno, le salme dei suoi fratelli Guglielmo “Braccio di Ferro”, Umfredo e Drogone (successivamente verrà anche lui sepolto qui).

DETTAGLI SULLA PARTE INTERNA DELLA CHIESA ANTICA

La parte interna della Chiesa occupa una superficie di circa 1000 metri quadrati mentre l’altezza del soffitto, al centro dell’edificio, misura poco più di 10 metri. L’impostazione architettonica è di tipo paleocristiano. La navata centrale è divisa in altre quattro costituite da grandi archi (otto a destra e sei a sinistra) larghi 10,15 metri, escluso lo spessore dei pilastri. L’abside è posta sul fondo ed ha una forma semicircolare con raggio di 3,95 metri. Di fronte ai due pilastri d’angolo della navata si erigono due colonne di circa 5,40 metri, adornate da capitelli romani in stile corinzio.Nella navata destra si trova La Tomba degli Altavilla, luogo funerario di Roberto il Guiscardo, Guglielmo “Braccio di Ferro”, Umfredo, Drogone e Guglielmo d’Altavilla, esponenti illustri della famiglia omonima che provenienti dalla Normandia come guerrieri mercenari agli inizi dell’anno mille, diedero l’avvio al primo regno unitario nell’Italia meridionale. I corpi un tempo riposavano in sarcofagi singoli, e le loro ossa vennero riunite nell’arca alla metà del Quattrocento. Della tomba del Guiscardo, attraverso i documenti, ci è noto l’epitaffio in cui egli era soprannominato Terror Mundi.Nella navata sinistra si trova invece La Tomba di Alberada di Buonalbergo (chiamata anche Aberada), moglie di Roberto il Guiscardo. La donna sposò Roberto nel 1053 ma venne da lui ripudiata per la principessa longobarda Sichelgaita di Salerno. Aberada ebbe anche un figlio dal Guiscardo, Boemondo I d’Antiochia, eroe della Prima Crociata, che morì a Canosa nel 1111 ed ivi è sepolto.

vista lunga

LA CHIESA ANTICA

La chiesa preserva un impianto in stile paleocristiano, strutturato da una pianta basilicale romana con un’ampia navata centrale e l’abside posta sul fondo, ma nel corso del tempo ha subito varie mutazioni a partire dal VII secolo, fino agli apporti di ricostruzione e restauro ad opera di Longobardi (nel X secolo) e Normanni (tra il XI ed il XIII secolo).L’ingresso della Chiesa, in stile romanico, esibisce sul lato sinistro due sculture di leoni in pietra e quattro sporgenze, che corrispondono ad altrettante facciate sovrapposte l’una all’altra nel corso dei secoli. Da destra verso sinistra: la prima sporgenza è di epoca normanna tra il XI e XII secolo; la seconda è longobarda, datata il X secolo; la terza è del VIII-IX secolo e la quarta è l’entrata laterale della Basilica Paleocristiana, al momento chiusa. Varcando la soglia dell’edificio, si possono rimirare varie sculture di civiltà eterogenee, perlopiù romane, e la cosiddetta Colonna dell’Amicizia, opera romana sormontata da un capitello bizantino. La Colonna venne chiamata così perché dice la tradizione che girarvi intorno tenendosi per mano sia un presagio di eterna amicizia e per le giovani spose che si comprimano tra colonna e parete, un augurio di fecondità. Poco prima dell’ingresso della Chiesa, vi sono due facciate. La prima è costituita da un portale realizzato dal Maestro Palmieri nel 1287 e, alla sua sinistra, è osservabile un grande affresco del XV secolo che raffigura San Cristoforo. La seconda facciata è composta dal massiccio arco del porticato, seguito da altri due archi, sovrastati da una galleria di piccoli archi ciechi. Vicino alla facciata si trova la scalinata che conduce al Monastero.

DETTAGLI SULLA CHIESA INCOMPIUTA

L’edificio venne iniziato con l’impiego di materiali provenienti da monumenti di svariate civiltà, tra cui romana, longobarda ed ebraica. Il suo progetto risale al XII secolo, quando la Chiesa Antica venne giudicata un luogo inadatto di contenere un certo numero di fedeli, quindi si optò di architettare un vasto ampliamento dietro l’abside, con il fine di creare un’unica grande basilica.Si dice che i lavori, sovvenzionati dai Benedettini, iniziarono verso la metà del 1100 ma i ritmi andarono man mano scemando, a causa dell’altalenante patrimonio dei Benedettini e anche perché questi furono costretti ad abbandonare Venosa, causa la soppressione del loro Monastero per volere del papa Bonifacio VIII nel 1297. Costui assegnò, nello stesso anno, il complesso ai “Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme” (in seguito noti come Cavalieri di Malta), i quali persero i propri possedimenti in Palestina durante l’Ultima Crociata.L’Ordine non prestò attenzione all’impianto monastico della nuova chiesa e stanziò il proprio quartier generale all’interno di Venosa, precisamente nel “Palazzo del Balì”. Da quel momento, la struttura non venne più completata. Ad ogni modo, vennero attuati altri interventi come il portale nel XIV secolo e il campanile a vela nel XVI secolo, ma a livello architettonico la Chiesa Incompiuta rimase tale. Oggi il monumento è affidato all’antico ordine dei Padri Trinitari.

INTERNO DELLA CHIESA INCOMPIUTA

L’ingresso, travalicato da un arco semicircolare, evidenzia una lunetta decorata da una iscrizione propiziatoria che chiede la protezione di Dio sul Tempio e sui monaci, nonché la pace dello spirito e del corpo. Sopra la lunetta si trova l’agnello con la croce, ovvero il simbolo dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. All’interno dell’Incompiuta, si posso trovare varie opere e ornamenti che appartenevano all’Anfiteatro Romano, come l’epigrafe della scuola gladiatoria di Salvio Capitone, che presenta un elenco di gladiatori che combattevano nell’Anfiteatro. Inoltre si possono ammirare vari bassorilievi come la Stele Funeraria dei Cinna, famiglia del console romano Lucio Cornelio Cinna e il Gruppo di tre Vipere, iconografia longobarda. Inoltre vi sono presenti tombe di uomini illustri come: Guglielmo “Braccio di Ferro”, Umfredo, Drogone e Guglielmo d’Altavilla, esponenti illustri della famiglia omonima che provenienti dalla Normandia come guerrieri mercenari.

Venosa, parco archeologico, sullo sfondo l'Incompiuta

ROBERTO “IL GUISCARDO”

Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo (l’Astuto), in latino Robertus Guiscardus o Viscardus, (Hauteville-la-Guichard, 1025 circa – Cefalonia, 17 luglio 1085), è stato un condottiero normanno. Sesto figlio di Tancredi (conte di Hauteville-la-Guichard) e primo della sua seconda moglie Fresenda (o Fressenda), divenne conte di Puglia e Calabria alla morte del fratello Umfredo (1057). In seguito (1059) fu investito da papa Niccolò II del titolo di duca di Puglia, Calabria e Sicilia. Roberto il Guiscardo giunse nel 1047 nell’Italia meridionale, dove già i suoi fratellastri (Guglielmo, Drogone e Umfredo) si erano distinti come abili mercenari dei signori longobardi in contrasto con l’impero di Bisanzio, ottenendo la Contea di Puglia.Secondo la storica bizantina Anna Comnena, egli aveva lasciato la Normandia con un seguito di appena cinque cavalieri e trenta avventurieri a piedi e, all’arrivo nell’antica Langobardia, si era messo a capo di una compagnia errante di briganti e predoni.All’arrivo di Roberto le terre in Puglia scarseggiavano ed egli non poteva aspettarsi grandi concessioni da parte di Drogone, il fratellastro allora regnante. D’altra parte lo stesso Umfredo aveva appena ricevuto in feudo la contea di Lavello. Già nel 1048 decise dunque di unirsi al principe Pandolfo IV di Capua nelle sue incessanti guerre contro il principe Guaimario di Salerno, ma l’alleanza durò appena un anno: stando alle cronache di Amato di Montecassino, Pandolfo venne meno alla promessa di concedere a Roberto un castello e una figlia in sposa, al che il Normanno rispose rompendo gli accordi e abbandonando il sodalizio.Roberto fece nuovamente richiesta di un feudo al fratellastro Drogone, il quale poté stavolta concedergli il comando della fortezza di Scribla, vicino Cosenza, conquistata durante la campagna di Calabria. Ma questo si rivelò ben presto un vicolo cieco, un presidio isolato dal quale non avrebbe potuto ricavare alcun concreto vantaggio. Decise perciò di spostarsi presso il castello di San Marco Argentano (in omaggio al quale, più tardi, battezzerà la fortezza di San Marco d’Alunzio, il primo castello normanno in Sicilia, sito presso l’antica Aluntium). Durante il periodo calabrese Roberto sposò la prima delle sue due mogli, Alberada di Buonalbergo, figlia di Gerardo di Buonalbergo.

Roberto il Guiscardo

GUGLIELMO “BRACCIO DI FERRO”

Guglielmo d’Altavilla, chiamato Guglielmo Braccio di Ferro (Cotentin, circa 1010 – Puglia, 1046), fu un cavaliere normanno, il maggiore dei figli di Tancredi d’Altavilla venuti in Italia, e omonimo del fratellastro, conte nel Principato di Salerno; fu nominato nel 1042 primo conte di Matera e nel 1043 primo conte di Puglia.

guglielmoI

UMFREDO

Umfredo d’Altavilla (Cotentin, 1010 circa – Venosa, 1057) è stato un cavaliere normanno, conte di Puglia e Calabria. Alcune fonti ritengono che Umfredo sia giunto nel sud Italia insieme ai suoi fratelli nel 1035 circa; ma, poiché il suo nome manca tra i cavalieri normanni che a Melfi nel 1042 si spartirono i primi territori conquistati, è probabile che il suo arrivo risalga a qualche anno più tardi, nel 1044, durante il dominio del fratello maggiore Guglielmo. A quel tempo prese possesso di Lavello e poi succedette nel 1051 al fratello Drogone come conte di Puglia e Calabria. Di sicuro l’evento più rilevante che lo vide protagonista fu la battaglia di Civitate (18 giugno 1053): Umfredo guidò le armate degli Altavilla (insieme al giovane fratellastro ed erede Roberto il Guiscardo) e dei Drengot (insieme a Riccardo, conte di Aversa) contro le forze unite del papato e dell’impero. L’esercito pontificio fu annientato e papa Leone IX fu catturato e imprigionato a Benevento.Umfredo sposò Matilda, figlia di Asclettino I Drengot da cui ebbe due figli:Abelardo, nato dopo il 1044 e morto in Illiria nel 1081, ed Ermanno, nato dopo il 1045 e morto a Bisanzio nel 1097.Alla morte del fratello Drogone, ne sposò la vedova Gaitelgrima, figlia di Guaimario III di Salerno, da cui nacque Umfreda, che andò sposa a Basileo Spadafora. Umfredo morì a Venosa[1] nel 1057 e la sua eredità passò al fratellastro ed eroe di Civitate, Roberto il Guiscardo, al quale attribuì anche la tutela dei suoi figli minorenni, Abelardo ed Ermanno. Il Guiscardo, però, ne confiscò l’eredità: nel giro di due anni, avrebbe elevato il suo rango comitale allo status ducale.

 

 

 

 

 

 

 

 

“Container della speranza”

Negli ultimi periodi gli immigranti cercano in tutti i modi di entrare in Italia, infatti in quest articolo del 18 febbraio preso da ilgiornaleditalia.org intitolato appunto ” i container della speranza” si legge di un gruppo di immigrati arrivati dentro a un container.

Dopo le carrette del mare, i container della speranza

Sono pronti a tutto pur di “scappare” dalla loro terra d’origine e raggiungere il Belpaese. Stipati sulle cosiddette carrette del mare oppure anche in un cassone per le merci. Quella che poteva essere l’ennesima tragedia dell’immigrazione irregolare mette ancora una volta in rilievo il problema della clandestinità.                                       Quindici uomini, tutti originari della Costa d’Avorio, sono stati infatti trovati all’ interno di un container con sementi della ditta “Agriservice” a San Martino di Lupari, nell’ alta padovana al confine con il vicentino, tra Tezze e Rossano Veneto. Sono stati gli operai della ditta, una volta aperto il container in azienda, ad accorgersi della presenza degli extracomunitari. Tutti erano in condizioni difficili: infreddoliti e sotto shock. Sul posto carabinieri, vigili del fuco, Suem e polizia locale.  Sull’accaduto sono in corso accertamenti da parte delle forze dell’ordine: non si sa infatti quanto tempo siano rimasti all’interno del container e in quali condizioni. È probabile che gli immigrati chiedano asilo in Italia.                                                                                   Il Paese infatti continua a pagare le spese di un’immigrazione di massa, che va avanti ininterrotta da diversi mesi. Nel fine settimana in Sicilia sono stati soccorsi ben 1079 immigrati, tra cui 64 minori e un neonato. Solo nella giornata di domenica sono stati infatti recuperati due barconi carichi di immigrati a sud di Lampedusa, che erano stati individuati dagli elicotteri del dispositivo aero-navale dell’operazione Mare nostrum.                                                                                                            Sempre lo stesso iter: gli immigrati partono dalle coste africane su “navi stracariche”, che vengono immediatamente soccorse dalla marina militare in quanto giudicate a rischio di galleggiabilità, dovuta nono solo alla fatiscenza del mezzo ma anche, per l’appunto, all’ eccessivo numero di persone a bordo.Insomma mentre gli immigrati pagano diverse migliaia di euro alla criminalità per arrivare alle porte dell’Europa, è la marina militare ad occuparsi del viaggio dei clandestini che una volta giunti in Italia vagano come ombre.                      UpkPfA5XLjg4XuLyb+CeYFtVsvl5TXCmqqemUfrZfW4=--

Immigrazione e Carrette del mare

Le carrette del mare sono vecchie barche che rischiano di affondare, e vengono usate per trasportare centinaia e migliaia di immigrati dall’ Africa o dai Balcani verso l’Europa e, principalmente, verso l’Italia. Gli immigrati a bordo di esse viaggiano come clandestini e le cause possono essere anche diverse ma quella più comune è la speranza di trovare condizioni migliori nei luoghi verso cui si imbarcano, che possano essere economiche o sociali. Molti sono allettati da quello che viene riferito loro da chi è già partito, che riferisce agli altri le migliori condizioni economiche. Così nasce un massiccio flusso migratorio che da molti anni riguarda l’Italia, e più da vicino l’isola di Lampedusa su cui si fermano quasi tutti i barconi, un fenomeno che sembra non avere fine.

images

Molte volte però i passeggeri non sono fortunati e le barche affondano, come quello accaduto qualche mese fa al largo di Lampedusa, in cui i morti superarono il centinaio. Attualmente vicino al campo sportivo di Lampedusa è presente il “cimitero” delle carrette.

download

Per controllare gli sbarchi, qualche tempo fa il governo italiano ha lanciato l’operazione “Mare Nostrum”, che prevede l’utilizzo di veicoli anfibi, di elicotteri e visori notturni per sorvegliare il mare anche di notte.

 

Questi flussi migratori sono analoghi a quelli avvenuti in Italia tra fine ottocento e inizio novecento, in cui gli italiani partivano per gli altri Paesi dell’Europa (come Svizzera e Germania), per l’America, sia settentrionale che meridionale, di cui le principali mete erano Stati Uniti, Brasile e Argentina,o per l’Australia. Tutte queste nazioni avevano grandi territori e quindi grande disponibilità di lavoro.

FamigliaCastagnaColoniCapitanPastene1910

La nave Vlora

La Vlora fu una nave mercantile costruita all’inizio degli anni sessanta dai Cantieri Navali Riuniti di Ancona con il nome di Ilice per la Società Ligure di Armamento di Genova. Gemella delle navi Ninny Figari, Sunpalermo e Fineo acquisite da diverse compagnie, l’Ilice fu successivamente acquistata nel 1961 dalla Societè actionnaire sino-albanaise de la navigation maritime “Chalship” di Durazzo battente bandiera albanese e ribattezzata Vlora.

vlora1

Il 7 agosto 1991, di ritorno da Cuba carica di zucchero, durante le operazioni di sbarco del carico nel porto di Durazzo, la Vlora venne assalita da una folla di circa 20.000 migranti albanesi senza permesso che costrinsero il comandante, Halim Milaqi, a salpare per l’Italia, attraccando al porto di Bari l’8 agosto 1991.La vicenda della Vlora è ricordata come uno dei tanti episodi dell’ondata di immigrazione che si ebbe in Italia dal 1990 al 1992 e rimane, a tutt’oggi (2014), il più grande sbarco di clandestini mai giunto in Italia.

Lo sbarco dei clandestini è un evento che si ricollega al più ampio e complesso panorama politico della caduta del comunismo. Il 10 novembre 1989 crollò il Muro di Berlino, abbattuto dagli abitanti della Germania Est. L’anno seguente la Germania tornò unita. In Polonia, Ungheria, Bulgaria e Cecoslovacchia, le libere elezioni portarno alla fine del regime comunista. Solo in Romania il trapasso avvenne in modo violento con dure rivolte che tennero col fiato sospeso l’Europa Occidentale. Con l’abbandono del comunismo in Iugoslavia emersero tensioni nazionalistiche che porteranno negli anni seguenti alla Guerra dei Balcani. In Albania iniziarono emigrazioni di massa. La nave, riempita all’inverosimile (probabilmente oltre 20.000 persone), chiede di poter sbarcare al porto di Brindisi. L’allora viceprefetto Bruno Pezzuto, resosi conto che non si trattava, come dagli ultimi sbarchi, di un carico di qualche centinaia di persone, convinse il capitano della nave Halim Milaqi a dirigersi verso Bari. Il tempo di percorrenza tra i due porti dato il carico della nave era di circa 7 ore, tempo necessario per organizzare centri di accoglienza e forze dell’ordine. Tuttavia la mancanza di Autorità ed il poco tempo a disposizione, fece sì che si organizzassero solo dopo che la nave entrò nel porto. Anche l’ingresso al porto non fu dei più facili. Il capitano infatti forzò il blocco portuale comunicando di avere feriti gravi a bordo e di non poter, a causa del grande carico, fare marcia indietro. La nave fu quindi fatta attraccare al cosiddetto Molo Carboni, il più distante dalla città. Durante l’entrata al porto molti si gettarono dalla nave in navigazione e nuotarono fino alla banchina cercando di scappare.

21_1

I profughi vengono sistemati nello Stadio della Vittoria e al porto. Alcuni si dispersero in città, trovando rifugio nei giardini, alla stazione, presso qualche famiglia o chiesa. Il 10 agosto don Tonino Bello arriva al porto di Bari e poi allo stadio. Quel che sta accadendo lo sconvolge e lo indigna tanto da descrivere aspramente sul quotidiano “Avvenire” le condizioni delle persone e l’assenza del ministro degli interni e del capo della Protezione civile.

Stadio_della_Vittoria_Bari_1

Le carrette del mare

Le carrette del mare sono delle vecchie barche con cui salpano gli emigranti in stati indecenti che provengono principalmente dal Nord Africa. Gli emigranti lasciano il loro paese per problemi politici, ma soprattutto per ricominciare o perché sono poveri, ma usano tutti i loro risparmi per trovare in un nuovo paese maggiore accoglienza che nel proprio.

carretta-del-mare-2

Articoli sulle carrette del mare

Dalla Libia all’Italia: il dramma delle carrette del mare verso il sogno europeo

Ci dirigiamo nel porto tunisino di Zarzis. Da qui sono partiti molti barconi con migranti provenienti dalla Libia e diretti in Italia. Sfidare il mare, arrivare sulle coste italiane e tentare la fortuna in Europa. Questo, per molti, ha rappresentato l’unico futuro possibile dopo la cosiddetta “rivoluzione” del 2011 che ha provocato la caduta del regime di Gheddafi. Ma oggi non è più così, i controlli sulle coste sono stati intensificati. A Zarzis sono numerose le famiglie nelle quali uno dei componenti ha sfidato il mare. Un ricordo amaro per Mohamed e sua moglie, uno dei loro figli ha perso la vita mentre tentava di raggiungere Lampedusa su una carretta che trasportava 120 migranti. “Rivivo la tragedia di mio figlio ogni istante, senza fine, credetemi. La rivivo quando vedo in televisione le immagini delle carrette o anche solamente del mare. E il mio cuore ogni volta si spezza,” dice Mohamed. Al dolore segue la rabbia. I sopravvissuti al naufragio hanno accusato una nave militare tunisina di aver deliberatamente speronato la barca per farla affondare, causando la morte di una trentina di passeggeri. Le denunce dei familiari delle vittime sono rimaste inascoltate. Chiedono giustizia e sollecitano anche l’Unione Europea affinché affronti il dramma del Mediterraneo dopo l’ultimo tragico naufragio a largo di Lampedusa.

Da EURONEWS

barcone_migranti_N

Stop alle “carrette” del mare

I nostri mari sono minacciati da killer giganteschi e, tuttavia, molto discreti. Viaggiano silenziosi, al riparo dei nostri occhi e palesano la loro presenza solo quando si rendono protagonisti di distruzioni di immensa portata. Non stiamo parlando di mostri marini o malvagi leviatani, ma delle cosiddette “carrette del mare”. Navi vecchie non in linea con gli standard di sicurezza internazionali, che rappresentano attualmente la principale minaccia all’ambiente marino e non solo. La più pericolosa categoria di carrette del mare è quella delle petroliere di vecchio tipo, a scafo unico. Vere e proprie lattine galleggianti che, in caso di incidente, vomitano in acqua senza possibilità di scampo veleni di ogni genere. Queste navi sono molto amate dalle grandi compagnie petrolifere perché il loro nolo costa di meno rispetto a quello delle navi più moderne. Poco importa se poi questo risparmio si traduce in terribili danni per la natura e per le persone. L’esempio della Prestige, affondata lo scorso dicembre al largo della Galizia, è paradigmatico. Migliaia di tonnellate di greggio riversate su 500 chilometri di costa, dalla Spagna alla Francia, con danni irreparabili per la fauna e la flora locali, affogate sotto un’immensa marea nera di sostanze cancerogene e mutagene. Un ecosistema irrimediabilmente distrutto e la vita di decine di migliaia di persone cambiata per sempre, in modo drammatico: basti pensare a tutti i pescatori che hanno perso la loro unica fonte di sostentamento, o a tutti coloro che per generazioni vivranno davanti al desolante spettacolo delle spiagge annerite dal petrolio. E tutto questo a causa di una nave che non era abbastanza sicura per navigare, eppure navigava.

Da AMBIENTE E VITA